mercoledì 19 settembre 2012

Parmenide: testi


1) Le cavalle che mi portarono fin dove giungeva il mio desiderio mi fecero arrivare, dopo che mi ebbero condotto e dopo che mi ebbero posto sulla via che dice molte cose, che appartiene alla divinità e che guida per ogni luogo l'uomo che sa. Là fui condotto. Infatti, là mi portarono sapienti cavalle tirando il mio carro, e fanciulle indicavano la via. L'asse dei mozzi mandava un sibilo acuto, arroventandosi – in quanto era premuto da due rotanti cerchi da una parte e dall'altra – quando le fanciulle Figlie del Sole affrettavano il viaggio nell'accompagnarmi, dopo aver lasciato le case della Notte, verso la luce, togliendosi con le mani i veli dal capo. Là c’è una porta fra i sentieri della Notte e del Giorno, sostenuta da un architrave e c'è una soglia di pietra; e la porta, nella sua altezza, è riempita da grandi battenti. Di questi, Giustizia, che molto punisce, tiene le chiavi che aprono e chiudono. Le fanciulle, allora, rivolgendole soavi parole, con gentilezza la persuasero, affinché, per loro, la sbarra del chiavistello senza indugiare togliesse dalla porta. E questa, subito aprendosi, produsse una vasta apertura dei battenti, facendo ruotare nei cardini, in senso inverso, gli assi di bronzo fissati con chiodi e con borchie. Di là, subito, attraverso la porta, proprio per la strada maestra le fanciulle condussero carro e cavalle. E la Dea con cortesia mi accolse, e con la sua mano prese la mia mano destra, e incominciò a parlare e mi disse: «O giovane, tu che, compagno di immortali guidatrici, con le cavalle che ti portano giungi alla nostra dimora, rallegrati, poiché non è infausta la sorte che ti ha condotto a percorrere questo cammino – infatti esso è fuori dalla via battuta dagli uomini –, ma legge divina e giustizia. Bisogna che tutto tu apprenda: e il solido cuore della sferica Verità e le opinioni dei mortali, nelle quali non c'è una vera certezza. Eppure anche questo imparerai: come le cose che appaiono bisogna che veramente siano giudicate». 

 2) Indifferente è per me il punto da cui devo iniziare il cammino; là infatti, nuovamente dovrò fare ritorno. 

 3) È inevitabile dire e pensare che l'essere sia: infatti l'essere è, il nulla non è: ti esorto a considerare queste cose. E dunque ti tengo lontano da questa prima via di ricerca, ma, poi, anche da quella su cui i mortali che nulla sanno vanno errando, uomini a due teste: infatti è l'incertezza che nei loro petti guida una dissennata mente. Costoro sono trascinati, contemporaneamente sordi e ciechi, istupiditi, razza di uomini senza giudizio, dai quali essere e non-essere sono considerati la medesima cosa e non la medesima cosa. 

 4) Questo non si potrà mai pretendere: che siano le cose che non sono! Ma tu da questa via di ricerca allontana il pensiero, né l'abitudine, nata da numerose esperienze, ti forzi su questa via a muovere l'occhio che non vede, l'orecchio che rimbomba e la lingua.  

I PARADOSSI DI ZENONE
Zenone è noto per aver enunciato alcuni paradossi logici in relazione all'esistenza del movimento. In tutti il fine è quello di dimostrare che accettare l'esistenza del movimento implica inestricabili contraddizioni ed è quindi inevitabile, da un punto di vista puramente razionale, riconoscere l'inaffidabilità dell'esperienza sensibile ed accettare l'affermazione di Parmenide secondo cui la realtà è immobile.

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